C’era una volta il Culatello di Zibello

Oggi vogliamo parlarvi di una storia lunga secoli, che fino ad oggi ha tramandato il gusto e il sapore di una pietanza a noi veramente molto cara.
In questa storia che leggerete si nasconde tutto il segreto di come il Culatello di Zibello ha iniziato il suo percorso di tradizione arrivando sino ai giorni d’oggi, e per via che le mode sono destinate a scomparire, il suo fascino e la sua bellezza e il suo sapore, ci confermano quanto grande sia questo prodotto che non smetterà mai di fare innamorare i palati più golosi e sopraffini.

Si dice che già nei primi anni del 1300, in un banchetto di nozze che vedeva Andrea dei Conti Rossi e Giovanna Conti Sanvitale, come protagonisti, gli invitati come maestoso regalo portarono in dono ai due novelli sposi diversi Culatelli di Zibello.
Oltre a questo evento che non compare scritto da nessuna parte e che non vede alcun documento di riferimento, ci sono diverse storie che nei secoli sono passate di voce in voce e di orecchio in orecchio.
Ovviamente non ci vogliamo sentire come se facessimo il gossip di “Novella 300”, ma è piacevole pensare che dopo così tanti anni queste voci possano avere dei fondamenti su cui continuare a tramandare la tradizione del buon gusto, non solo del Culatello di Zibello, ma bensì di tutto quello che dietro a questo meraviglioso prodotto si cela: Contadini, Famiglie, Lavorazione e tanto altro.
Un vero tuffo in un passato ricco di significati per capire oggi giorno da dove discendiamo come produttori e consumatori.

La “nascita” del Culatello di Zibello sia da collegare strettamente alla costituzione del feudo dei Pallavicino, che governarono i territori di Busseto, Zibello e Polesine dal 1249 fino all’epoca napoleonica, per più di mezzo millennio e che favorirono l’agricoltura e l’allevamento dei suini.
Non è un caso che i colori argento e rosso del loro blasone siano stati oggi ripresi nel marchio del Consorzio di tutela del Culatello di Zibello.

Figura con il nome di “Investiture di Parma” nel 1691, in un disegno dell’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718), raffigurante una donna con in mano un salume riconducibile al culatello, scelto in maniera significativa per rappresentare le specialità di Parma nel Gioco della Cuccagna che non si perde e sempre si guadagna, non dissimile da un gioco dell’oca in cui ogni località è rappresentata da un diverso prodotto alimentare simbolo.

La prima citazione esplicita e “ufficiale” del culatello risale però al 1735, all’interno di un documento del Comune di Parma: il “Calmiero della carne porcina salata” in cui
spunta un prezzo piuttosto basso, 19 soldi per libbra, inferiore a quello del salame, all’epoca il salume più costoso. Nei documenti ufficiali compare ancora in una grida del 1745 e del 1746, nelle “Notificazioni delle carni suine salate” del 1764, 1783, 1785 e 1786 e nel “Calmiero della carne porcina” del 9 aprile 1805, dove il suo valore è, ora (e per i secoli a seguire), il più elevato: 48 soldi per libbra. E’ presente nei menù di Casa Sanvitale nel 1885.

Le prime citazioni letterarie sono ottocentesche, ad opera del poeta dialettale parmigiano Giuseppe Maria Callegari (1785-1829) che lo nomina fra le pietanze servite in paradiso, mentre Giuseppe Verdi (1813-1901) lo porta con sé a San Pietroburgo nel 1862 per celebrare il successo della Forza del destino.
Ma sarà il “vate” Gabriele D’Annunzio (1863-1938) a dargli fama, decantandolo come “salata e rossa compattezza porcina” e dichiarandosi in una sua lettera allo scultore traversetolese Renato Brozzi (1885-1963) del 1931 “un cupidissimo amatore del parmense culatello”.

Come potete vedere questa storia non ha solo dell’incredibile per l’importanza di chi ne ha segnato i momenti, ma soprattutto perché nella più grande semplicità di questo prodotto si cela la più maestosa nobiltà del suo essere puro.
E come diceva Antonio De Curtis, nobile attore Napoletano: “Signori si nasce, non si diventa.”